STORIE
I figli di Deucalione
Quando Dioniso cavalcava i leopardi, tra gli ampî delta pescosi e i bacini palustri sulle rive del Mediterraneo viveva una genìa d’uomini poco numerosa e taciturna. Sul volto recava la calda impronta della terracotta, vene di granito affioravano sulle loro braccia. E le loro mani, custodi di gesti misteriosi, erano capaci di dare respiro alla pietra.
Gelosi del loro segreto, lo tramandavano di padre in figlio durante lunghe peregrinazioni sui mari. Alla stirpe etnea di Tubalcain avevano sottratto il dominio del fuoco, e a Deucalione, loro progenitore, la facoltà di restituire vita ai ciottoli dei fiumi. Il Mediterraneo allora non ignorava che la pietra è la pelle del mondo, ma nessun altro salvo loro, i nati dopo il diluvio, sapeva destarla all’esistenza.
Non paghi di carpire come Prometeo misteri grandiosi, li avevano resi, complice il tempo, compiuti e perfetti. Gettare pietre alle proprie spalle, e farne uomini, era compito modesto per la loro ambizione. Prima avevano appreso a sceglierle e a raccoglierle per il lustro vivace, o la dolce patina, o gli screzi variopinti, o la curiosità della forma, come i discepoli di Sais.
Quindi avevano eletto a unico, esclusivo compito la ricostruzione dell’universo, che nel loro linguaggio rispondeva al singolare nome di Rimembranza. Con pazienza e abilità sapevano tessere alberi, boschi, città, popolazioni e interi mondi. E persino Dio. E quando erano esausti d’ordire universi, si dilettavano di catturare i raggi del sole nella pietra.
Il loro mistero è rimasto segreto. Ma alla corte di Tolomeo Filopatore, che a lungo e invano ha tentato di penetrarlo, un erudito annotò su un rotolo di papiro che i figli di Deucalione erano usi avviare i loro riti demiurgici evocando le Muse e li suggellavano esclamando “Quattro”, come i Pitagorici, nell’idioma ellenico d’Alessandria.
Oggi non li ricorda più nessuno, ma tra gli ampî delta pescosi e i bacini palustri qualcuno dei figli di Deucalione è ancora capace di dare respiro alla pietra.
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Racconto scritto nel 1993 per una mostra di Marco De Luca, foto scattate nel 2006 e 2007
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