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    Il Gandhi della Bourke-White


In questa celebre foto che ritrae Gandhi e il suo arcolaio in primo piano, la Bourke-White sta variando uno schema visivo tratto da vedute di New York della Abbott e di Feiningerscattate tra la fine degli anni '30 e i primi anni '40, in cui l'Empire State Building s'impone col suo titanismo, ma sbiadito, quasi immateriale. Ed è il meccanismo che innesca il 'senso' dell'immagine, non a caso divenuta icona dell'azione gandhiana.

La Bourke-White amava tantissimo le forme curve, vi insisteva molto nella composizione alla maniera delle avanguardie artistiche europee (a sinistra una sua foto industriale del 1936). Ma qui l'arcolaio non è solo un motivo formale, nella sua rudimentale semplicità diventa il simbolo dell'azione gandhiana: è lo strumento con cui il Mahatma inceppa l'impero britannico. Quel fragile e arcaico strumento di legno blocca la più grande potenza del mondo.

Però Gandhi non lo degna d'un solo sguardo: è solo e nient'altro che uno strumento. Si comprende che egli lo usa non per trarre vantaggi o benefici materiali, ma esclusivamente perché è necessario usarlo: perché l'azione va compiuta, nello spirito della Bhagavad Gita.

E il contrasto non potrebbe essere più netto. Tanto scuro e materiale l'arcolaio, nella sua povertà, tanto il Mahatma sembra prossimo a smaterializzarsi. È proprio della rinuncia al possesso –dei beni materiali, del corpo stesso– che si fa fulgida la luce intorno a Gandhi. Il Mahatma è un gigante, proprio grazie alla sua nuda semplicità, alla sua capacità di rinunciare.

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