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Locus solus
Dosso Dossi, Giove, Mercurio e la Virtù, 1523-24
La pittura ha natura ermafrodita. È il luogo del non luogo. Piuttosto che una topologia, rende visibile una utopologia, una sapienza del luogo utopico, luogo sottratto alle cure dell’uomo, non abitabile: il non luogo. La sua planitudine è crocicchio di metamorfosi perpetue: la materia diviene linguaggio, il linguaggio materia. Incessantemente. Afferra concetto e oggetto al cappio della forma, li volge in immagine. Come Hermes è messaggera, come Hermes alimenta gli scambi. Come Afrodite custodisce la bellezza, come Afrodite è anadiomene: dalle profondità affiora in superficie.
La pittura si fonda sull’inveramento d’una falsa etimologia: nella sua lingua locus deriva da logos; nella sua lingua il locus annuncia il logos, si fa logos. Se la lingua verbale è il luogo del dire, la lingua della pittura ne è calco complementare: il suo essere è dire il luogo.
Il suo dire si precisa come un indire: è un dire che convoca i luoghi, un dire che li ordina. I luoghi, la pittura, li stabilisce.
Il suo dire si precisa come un interdire: è un dire dentro i luoghi, ed è un dire che intima, cioè restituisce intimità ai luoghi; un dire che nel restituire il luogo all’interiorità, ne vieta l’accesso, lo sottrae all’abitare: locus solus.
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