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    Grecia

    Tinos, al monastero


Monastero di Kechrovouni, Tinos, luglio 1989.


L'icona miracolosa di Tinos, la Megalochari -Grazia infinita, tradurrei- è un ritrovamento recente, dell'Ottocento. Ma è considerata antichissima, addirittura precedente la lunga, secolare stagione bizantina. Studiosi affermano con convinzione che l'abbia dipinta proprio Luca, l'Evangelista. Anche il ritrovamento ha del miracoloso. Tre sorelle di Trefiumi -così tradurrei Tripotamos- sognano una Signora che chiede loro di fondare un monastero in un posto sferzato dal vento e pieno di serpenti.
Le tre sorelle provano a costruire le celle un po' più a sud, al riparo dal vento, ma ogni notte ciò che costruiscono cade in macerie e gli attrezzi tornano dove la Signora vuole che si costruisca il monastero. Vento e serpenti permettendo, le tre sorelle di Trefiumi costruiscono infine le loro celle in cima a quel colle indicato dalla Signora. Una delle tre, Pelagia -che tradurrei con "Marina"- sogna per diverse domeniche di fila la Signora che le ordina di scavare in un punto della città di Tinos, Chora. Inizialmente trovano i resti d'una chiesa bizantina dedicata a san Giovanni Battista, che di acqua e fiumi se ne intendeva, e sotto un tempio di Dioniso, quel dio che i Titani lessano nel paiolo


Gli scavi si interrompono, la delusione serpeggia ma Marina, che è determinata almeno quanto la Signora che sogna con le sue sorelle di Trefiumi insiste, e infine un piccone scopre la sacra icona nel 1822, l'anno successivo allo scoppio della guerra d'indipendenza. Il ritrovamento non poteva essere più opportuno. La popolazione di Chio era stata sterminata, il patriarca di Costantinopoli impiccato. Un segno vincente era necessario, lo si sa dai tempi di Costantino.
Icona miracolosa, e rivoluzionaria: è un segno evidente, si racconta per tutta la Grecia, che bisogna chiudere definitivamente con l'invasore ottomano e liberare la patria. Le icone della guerra d'indipendenza greca si recano in pellegrinaggio a Tinos, forse giurano davanti a essa, forse implorano il suo sostegno. Il seguito è noto.

Oggi, stemperato l'ardore patriottico, non si percepisce nemmeno la "liquidità" dell'icona, la sua natura fluttuante: fiumi, Marina ormai santa venerata, i serpenti, il Battista. Resta come sottofondo, come secreto.
Oggi, dove le tre sorelle di Trefiumi fondarono il monastero, v'è un piccolo villaggio monastico incastonato sul monte come una pietra preziosa. Un gioiello di architettura cicladica, ma azzurra, d'un azzurro lieve come le acque che evocano l'icona e la sua leggendaria scoperta.
Un gioiello di celle spaziose ma semplici, raggrumate una sopra l'altra, punteggiato da lucerne marmoree traforate, attraversato da scale, scalette, strade strette, tortuose e fresche. Un luogo silenzioso, abitato solo dal vento, si direbbe.

Questa monaca fa eccezione. Dopo averlo girato tutto senza incontrare mai anima viva, l'ho vista uscire leggera dalla sua cella e incamminarsi nella direzione opposta alla mia. Ho provato a seguirla, incuriosito, ma era già svanita.

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