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    Grecia

    Il cestaio di Tinos


Il signor cestaio. Volax, Tinos, 1989.


Nel cuore di Tinos, a discreta altitudine, si trova una vallata pietrosa costellata da rocce granitiche tondeggianti. La leggenda vuole siano piovute dal cielo, e in effetti vi si respira un'aria vagamente lunare.
Al termine della strada c'è un crocchio di case sparse a caso, come un lancio di dadi. Appena imbocchiamo una delle stradine un signore si affaccia da una soglia.
- Germani, deutsch?
- No, oxi, Italiani, Italoi.
- Italiani? Katholiko!, esclama battendosi il petto. - katholikoi!, ripete con un ampio gesto del braccio, a comprendere tutto il paese.
C'è un attimo di smarrimento -crede che siamo cattolici? Lui è cattolico? Chi è cattolico?
Il signore intende subito il nostro smarrimento e ripete in Inglese, con orgoglio: - qui siamo tutti cattolici!
Mi guardo intorno, sorpreso. Non mi sarei certo aspettato di trovare una comunità cattolica a Tinos, proprio nel mezzo d'un paesaggio lunare. Grosso modo si parla d'una quarantina di persone.

Il signore è piccolino, tarchiato. Il volto sorridente, soddisfatto, l'espressione d'uno gnomo felice. Si volta e mostra con orgoglio i cesti appesi accanto alla soglia, i frutti del suo lavoro. Quando mostriamo apprezzamento ci invita a casa, e non c'è modo di declinare l'invito. Rimedia un paio di sedie, ci invita a sedere e indica un cocomero.
- Karpouzi?
Non aspetta nemmeno la nostra risposta, comincia subito a tagliarlo. Il cocomero, assieme all'ouzo, è un classico della convivialità greca. Ed è sempre buonissimo, una manna.

Un prete, ci racconta, viene tutte le domeniche a Volax a tener messa per la comunità, quelle quaranta persone orgogliosamente cattoliche nel cuore delle Cicladi.
Vita dura, la sua. A Volax non c'era lavoro, e nemmeno a Tinos, ai suoi tempi. Così fa la valigia ed emigra in Canada, dove lavora per molti anni. Forse a fare pulizie, se non ricordo male: per le filiali delle banche, per gli uffici; la notte, quando tutto è chiuso. Poi monta la nostalgia, il nostos chiama, e quando ha un piccolo gruzzoletto rifà le valigie e torna a casa, a far cesti. Povero -la sua casa non è una reggia- ma felice.
È una delle tradizioni di Tinos: marmorari abilissimi, merlettaie raffinate, cestai. L'isola custodisce saperi antichi, tramandati di padre in figlio. Quando si trattò di restaurare il Partenone chiamarono i marmorari tinioti.

Quante lapidi con gli attrezzi della scultura ho visto nel più bel cimitero che conosca, proprio a Tinos. Un cimitero sereno, bellissimo, niente a che fare con i nostri parellelepipedi marmorei prêt-à-porter, monoliti sordi e aridi. Tutte scolpite a mano, con dedizione. Ne ricordo una in particolare: maestro, scultore, sarto. E quindi con libri, scalpelli, forbici e gli altri attrezzi dei mestieri. Anche marinai, a Tinos, e quindi barche vascelli e pesci.
Gli chiedo di mostrarmi come lavora. Subito impugna felice la roncola e comincia a tagliare una canna. Prima a metà, quindi in quarti, infine in ottavi. E qui comprendo come certi segni, prima ancora che segni, sono visioni del mondo, azioni. Persistono nel tempo, plasmano le persone e le cose.

89-08-Tinos-06-2011-800Nelle colombaie di Tinos, sparse in tutta l'isola, piccole torri decorate con pietra sottile o lastre di laterizio, sono impressi quei segni che popolano il Mediterraneo da tempi antichi, quando le Cicladi erano il ponte tra Creta e la Grecia. Quando uomini forse piccoli come il cestaio modellavano il marmo in forme essenziali e limpide.

Si ripetono costantemente l'albero della vita, le croci di sant'Andrea, e soprattutto la Rota, a sei od otto raggi. (a sinistra una colombaia con alberi della vita e Rote)
La Rota è un tratto costante delle tipiche lucerne tiniote: lunette marmoree traforate che vengono collocate sopra finestre e porte (qui un esempio). È il sistema più bello ed efficace che io conosca di aerazione. Il Meltemi, il vento costante che in estate soffia ben teso da queste parti, entra in casa e la ventila. I trafori ne riducono la portata, e al contempo lo comprimono, rinfrescandolo ancor più. A Tinos non si soffre mai il caldo.
E la Rota non compare solo sulle colombaie e le lucerne. Anche i merletti ne son pieni. Magari diviene rosa, cioè fiore, i raggi si allargano in petali, ma resta la sua sostanza: la divisione del cerchio, del kiklos in sei od otto parti.

Il cestaio di Volax mi ha mostrato che anche nei cesti vive la Rota. Non come simbolo manifesto, ma come concreto modo di ordinare il mondo, e quindi anche tagliare e disporre la singola canna: come principio. Perché ordinare è dividere, e la divisione è la progressione dell'universo. Forse il cestaio non lo sa, e nemmeno si pone simili questioni, ma taglia felice, felice, in armonia col mondo.

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