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Breve storia dell'impacchettamento
Marcel Duchamp, Con rumore segreto, 1916 (replica del 1964)
Forse la storia ha un prologo, che comincia quando un tipo nasconde qualcosa in un rotolo di spago sigillato tra due lastre d’ottone. Il tipo si chiama Marcel Duchamp, chiama l’aggeggio Con rumore segreto. È il 1916. Lo strano oggetto non sfugge a Man Ray, suo amico e compagno di ventura. Pensando al conte di Lautréamont, autore dei Canti di Maldoror, decide di fare le cose in grande. Acquista metri di iuta, rotoli di spago, una macchina da cucire e altro ancora. Lautréamont aveva cantato, tra l’altro, un incontro fortuito tra un ombrello e una macchina da cucire su un tavolo anatomico. Perciò la frotta dei Surrealisti, Breton in testa, lo aveva cooptato nell’albero genealogico ed elevato ai vertici del suo pantheon. Man Ray impacchetta tutto il materiale acquistato, lo lega bene con lo spago, lo fotografa e lo dedica al conte di Lautréamont: L’enigma di Isidore Ducasse. L’enigma si moltiplicherà nel tempo e le versioni oggi sono almeno due o tre, forse più delle foto che scattò lo stesso Man Ray.
Man Ray, L'enigma di Isidore Ducasse, 1920 | Foto di Man Ray
Man Ray, L'enigma di Isidore Ducasse, 1920 (replica)
L’oggetto enigmatico resta probabilmente nello studio di Man Ray, assieme alle sue repliche fotografiche, dove giunge nel ‘23 la giovane americana Berenice Abbott, ingaggiata come assistente in camera oscura. Man Ray cercava qualcuno che non ne sapesse di fotografia, ma in breve la Abbott si trova come un pesce nell’acqua e nel giro di pochi anni acquista maestrìa, si innamora delle fotografie di Atget, altro astro del cosmo surrealista, e conquista Parigi a suon di ritratti. Al rientro a New York l’attende la Grande depressione, che documenterà meticolosamente per anni. Finché non s’imbatte in un Man Ray “per caso”. Ma questa volta l’enigma di Isidore Ducasse si chiama Father Duffy e campeggia impacchettato in maniera sinistra nella pubblica piazza. È il 14 aprile del 1937. Padre Duffy, un cappellano cattolico irlandese, ha compiuto tali gesta eroiche in tempo di guerra e pace che New York decide di celebrarlo in Times square, a due passi dalla casa in cui visse. Ma l’inaugurazione del monumento è prevista a maggio, e così la statua, pronta anzi tempo, resta impacchettata.
Berenice Abbott, Father Duffy.
Non è difficile immaginare la reazione della Abbot quando vi s’imbatte. Oltre la reincarnazione dell’enigma di Isidore Ducasse vi vede anche uno straordinario e monumentale objet trouvé: Man Ray dovette confezionare il suo pacco, lei lo trova bello pronto, perturbante quanto basta. Così prepara immediatamente i suoi marchingegni fotografici, ma desta le attenzioni dei passanti e quindi d’un poliziotto che finisce per allontanarla, costringendola a una foto in fretta e furia. Ma l’objet trouvé è comunque documentato: il padre da celebrare sembra preparato per affrontare il peggiore supplizio, la statua occultata agli sguardi crea spaesamento e inquietudine.
Christo, Lattina involtata, 1958
Probabilmente l’Enigma di Isidore Ducasse e Father Duffy sarebbero rimasti episodi isolati se non fosse apparso all’orizzonte alla fine degli anni ‘50 Christo, l’impacchettatore seriale. L’avvio è timido, una lattina che ha sapore antologico: si approssima a Con rumore segreto di Duchamp, per dimensioni e idea di fondo, ma realizzata con echi informali e materici alla maniera neodadaista di Rauschenberg.
Christo, Bozzetto per abito nuziale, 1967
Nell’arco d’un decennio l’impacchettamento diviene metodico, forse già compulsivo: si irrobustisce, si amplia nelle dimensioni e nella portata. Nel progetto per l’Abito nuziale sono evidenti l’influenza di Man Ray e l’inclinazione al monumentale ma l’Enigma, che era il cuore dell’opera surrealista, si è attenuato: il contenuto resta misterioso, ma è anzitutto una dote e al contempo un peso, un gravame per la sposa. Il resto è storia relativamente recente: l’ambizione di Christo diviene titanica e lo ha portato a impacchettare monumenti, palazzi, interi scorci paesistici.
Christo, Impacchettamento del monumento a Vittorio Emanuele II, Milano 1970
Il processo, rispetto all’opera di Man Ray, si inverte: il contenuto occultato è in realtà ben noto a tutti. Ma, e qui il lavoro di Christo si fa sottile e utile, spesso l’abitudine finisce per eclissarlo allo sguardo della coscienza. L’operazione di Christo acquista tutta la sua valenza dopo, quando l’oggetto occultato torna alla vista di tutti, rinnovato: lo sguardo torna a osservarlo come se fosse la prima volta.
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