Monte Athos
Sulla penisola del monte Athos dalle coste impervie e scoscese, all'estremo lembo orientale della penisola calcidica, sorgono una ventina di monasteri e alcuni piccoli villaggi della comunità ortodossa. Ve ne sono molti greci, uno russo, uno serbo, uno bulgaro, uno georgiano, una sketì (villaggio) romena. È una repubblica monastica sottoposta al patriarcato di Costantinopoli. Per entrarvi bisogna far domanda e ottenere il Diamonitirion.
L'unico accesso è via mare, con un piccolo battello che parte da Uranopoli e approda a Dafnì, un grappoletto di case sul mare. Sul monte Athos si ignora la riforma gregoriana, e dunque anche il calendario vigente. Si usa ancora il calendario giuliano, che scorre con tredici giorni di ritardo. Anche il computo orario è differente. Ci si alza alle otto, al suono della martellina che batte sul simandron, un asse di legno o metallo che scandisce la giornata dei monaci. Ma al nostro orologio, in estate, sono le cinque: è l'ora bizantina, che si calcola dal tramonto del sole, e dunque varia nel corso dell'anno.
Si mangia a mezzogiorno in punto, ma sono le nove. E la cena viene servita alle otto, cioè alle cinque del pomeriggio. Il simandron chiama alla preghiera, che precede ogni attività. Il pasto è frugale, ed è a tutti gli effetti ripetizione dell'ultima cena. Si mangia ascoltando le sacre scritture e si conclude con la comunione, vera: si mangiano e bevono pane e vino consacrati dopo la funzione liturgica celebrata nel katholikon, la chiesa "universale" in cui si riuniscono monaci e pellegrini.
Scatti del 2009
Sul battello che collega Uranopoli con Dafnì, il porticciolo del Monte Athos. Il monaco anziano viaggia con un registratore di quaranta anni fa, tenuto assieme con lo scotch. Il monaco sullo sfondo armeggia con l'ultimo modello cellulare Sony Ericsson
Nella cabina del ponte questo monaco serbo vede una grande riproduzione d'un'icona della Vergine. La raggiunge, vi s'inginocchia, la bacia, si pone a debita distanza e comincia a sussurrare nella sua lingua una lunga funzione liturgica. Dopo la preghiera cede alla stanchezza del viaggio
Arrivando in battello si scorge, alle spalle del monastero di Dyonisiou e dei colli impervi, il profilo ripido e tagliente del monte Athos
Il monastero di Dionysiou. L'accoglienza è di prammatica: acqua fresca, un bicchierino di ouzo e dolcini gommosi. Ci affidano a un giovane monaco che parla inglese ed è lapidario: "at five church, at six dinner"
Il Katholikon del monastero di Dionysiou, ovvero la chiesa principale. La chiesa ortodossa differisce dalla cattolica per la pianta a croce greca, cioè a bracci uguali, e l'imponente presenza dell'iconostasi, che separa l'altare e gli officianti dai fedeli. Colpisce la particolare imponenza dell'iconostasi, alta quasi quanto l'arco di volta. Caratteristica, questa, del mondo slavo e in particolare russa, piuttosto che greca.
La ridondanza di dorature, l'esuberanza delle decorazioni, che certo non può entusiasmare chi ama l'essenzialità, hanno una precisa funzione: le celebrazioni liturgiche si svolgono esclusivamente a lume di candele di cera -cera vera e pura, non paraffina- e gli apparati liturgici riflettono e sfaccettano la loro luce fioca.
Scrive Florenskij, nel Rito ortodosso come sintesi delle arti: "L'oro, barbaro, pesante, futile nella luce diffusa del giorno, con la luce tremolante d'una lampada o d'una candela si ravviva, poiché sfavilla di miriadi di scintille ora qui, ora là, facendo presentire altre luci non terrestri che riempiono lo spazio celeste".
Simandro del monastero di Dyonisiou. Strumento suonato con martelli che scandisce tutti i momenti della vita quotidiana del monastero
Karyes, la capitale del monte Athos, è un piccolo borgo con un volto medievale e ottocentesco. Contava 163 abitanti nel 2011. Molti bei palazzi, sedi dei monasteri, giacciono abbandonati. A ondate si riempie e svuota di pellegrini. A parte due empori che vendono di tutto, ci sono due tipi di negozi: di ferramenta, fornitissimi, e di materiali liturgici, come questo. Sapore decisamente medievale, ma non mancano carte di credito e bancomat.
È una cittadella medievale fortificata, il monastero di Vatopedi. Col borgo alle sue mura. Domina uno dei pochi punti della penisola in cui la costa non s'arrampica scoscesa, e anzi digrada dolcemente verso il mare immobile. Padre Paissos, giovane monaco che accoglie i pellegrini, è garbato ma chiaro nell'esporci i divieti: dentro il monastero niente foto, niente bagni nel mare fantastico che bagna le coste del monastero: "this is not a resort"
È notte fonda quando le celebrazioni liturgiche in onore del profeta Elia riprendono, dopo una lunga vigilia. Alle 5 comincia a risuonare in tutto il monastero il rintocco del martello, per chiamare a raccolta monaci e pellegrini. Dentro la fonte battesimale contornata da un doppio giro di colonne, davanti all'acqua che zampilla copiosa da un'aquila bicipite dorata, si espongono l'icona del profeta Elia e della "Panaghia" (la "santissima"). Il coro liturgico si eleva sino al sublime. Poi si forma la processione che si snoda intorno al monastero
L'icona della della Panaghia (la"santissima") del monastero di Vatopedi, la bocca e le guance consunte dai baci dei fedeli
Nei tempi d'oro il monastero di Vatopedi poteva forse ospitare migliaia di monaci. Adesso sono 120, e lavorano sodo. Non solo per mantenere se stessi, ma anche per ospitare ogni giorno, gratuitamente, un'ottantina di pellegrini.
Altri appunti sulla Grecia